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Ancora troppa confusione sulla riorganizzazione del sistema delle aree protette in Emilia Romagna

Legambiente chiede chiarezza sulla gestione, garanzia di investimenti adeguati e propone l’istituzione di altre aree protette

L’Emilia Romagna è una regione importante, e deve affrontare con più coraggio la riforma di un settore fondamentale per la conservazione della natura e per promuovere un economia in armonia col territorio

Sulla modifica alla normativa regionale sulle aree protette Legambiente Emilia Romagna ha inviato le proprie osservazioni alla Regione con l’auspicio che il contributo possa servire a migliorare l’attuale proposta, che suscita molte perplessità nel mondo ambientalista e tra gli operatori delle aree protette.
Nel documento è stato ribadito che i tempi per la consultazione di associazioni e comunità locali sono stati inadeguati.
Infatti, nonostante siano passati dieci mesi dall’approvazione del decreto Milleproproghe che impone alla Regione di rivedere l’assetto delle aree protette entro la fine di quest’anno, solo ora c’è un’accelerazione su di una proposta di governo del territorio, peraltro molto articolata, per evitare il rischio di commissariamento delle aree protette regionali. Un’urgenza che mal si adatta alla necessità di condividere la proposta con gli enti locali e le popolazioni, con la giusta considerazione delle aspettative delle associazioni e degli operatori del settore. Tempi stretti che mal si adattano soprattutto alla costruzione di un sistema di gestione compiuto ed efficiente.

Il rischio che stiamo correndo è quello di vedere fallire sul nascere il progetto e lasciare i Parchi in una situazione di caos. Rispetto ai contenuti della proposta invece è fondamentale che la Regione sia presente e svolga un ruolo centrale nelle nuove aggregazioni delle aree protette e scelga, in coerenza con la legge quadro 394/91, enti autonomi in grado di garantire omogeneità di approccio e gestione, nell’intento di evitare il disimpegno, anche economico, dei comuni.”
In sostanza, l’associazione propone che il soggetto che gestirà le aree protette debba prevedere, oltre alla più ampia partecipazione, anche la sua chiara identificazione con il territorio. E per evitare che si crei troppa distanza tra il territorio amministrato e il luogo da cui si decide, si deve adottare il modello dell’Ente parco regionale, che nell’esperienza nazionale è il modello che svolge al meglio questa funzione.
In generale occorre inoltre che la Regione introduca tra gli obiettivi di questo cammino anche quello dell’estensione del suo territorio protetto, oggi fermo all’8%, che ci vede molto arretrati nella classifica nazionale che ha una media dell’11%, e lontanissimi dagli standard internazionali che indicano come ottimale la percentuale di territorio protetto pari al 17% a terra e il 10% a mare. In una regione fortemente antropizzata come la nostra questo obiettivo risulta fondamentale per la tutela della biodiversità.
“Nel particolare della proposta che ci è stata sottoposta, ci sembra da perfezionare lo schema di delimitazione degli ambiti territoriali ottimali per la biodiversità (ATOB), che al momento seguono geografie istituzionali, invece che i sistemi ambientali territoriali (appennino, pianura padana e costa), più omogenei per la conservazione degli habitat e delle specie e per le caratteristiche sociali e culturali. Un modello, quello che ci è stato presentato, che non ha ancora contenuti e che deve sciogliere l’incertezza rispetto alle risorse economiche, al personale, al coinvolgimento degli enti locali, delle associazioni ambientaliste, delle parti economiche e sociali. Un disegno incerto e confuso, che non è possibile giudicare, ma che ci sembra giocare pericolosamente col futuro delle aree protette”