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Dossier Acqua in bottiglia 2013

Molto da fare in Emilia Romagna: una legge datata, e canoni calcolati esclusivamente sugli ettari di concessione, determinano uno scarsissimo ritorno economico per le casse pubbliche.

“Su canoni acqua, così come delle cave, serve aggiornare i valori, reinvestendo gli utili in difesa del territorio ed economia verde”.

Un giro d’affari pari a 2,25 miliardi di euro che riguarda 168 società per 304 diverse marche commerciali; l’uso di oltre 6 miliardi di bottiglie di plastica prodotte utilizzando 456 mila tonnellate di petrolio, che determinano l’immissione in atmosfera di oltre 1,2 milioni di tonnellate di CO2: c’è un vero e proprio business dentro una bottiglia d’acqua. L’abitudine tutta italiana di preferire l’acqua in bottiglia a quella del rubinetto innesca, infatti, un meccanismo economico che porta immensi guadagni alle aziende imbottigliatrici e un’enorme consumo di risorse per il Paese, oltre ad alti livelli di inquinamento indotto e consumo di risorse.
Nel 2011 i consumi di acqua sono aumentati rispetto all’anno precedente, passando da 186 a 188 litri per abitante all’anno, numeri che confermano il primato europeo del nostro paese per i consumi di acque minerali: dei 12,350 miliardi di litri imbottigliati nel solo 2011, oltre 11,320 miliardi sono stati consumati dentro i confini nazionali. Senza dimenticare che ancora oggi solo un terzo delle bottiglie viene avviato correttamente al riciclo, mentre la gran parte continua a finire in discarica o ad essere dispersa nell’ambiente e che per l’85% dei carichi si continua a preferire il trasporto su gomma. Questo vuol dire che una bottiglia d’acqua che proviene dalle Alpi percorre oltre 1000 km per arrivare in Puglia, con consumi di carburante e emissioni di sostanze inquinanti conseguenti. Cifre che potrebbero aumentare visto che l’affare delle acque in bottiglia continua ad essere molto vantaggioso per le società che lo gestiscono. Infatti, i canoni richiesti dalle Regioni per le concessioni sono, in molti casi, risibili, come nel caso della Liguria che chiede solo 5 euro per ciascun ettaro dato in concessione, senza prendere in considerazione i volumi emunti o imbottigliati, e incassando appena 3.300 euro all’anno per le 5 concessioni attive sul territorio.

Nella classifica delle Regioni stilata nel dossier presentato oggi da Legambiente e Altreconomia, non fa una bella figura l’Emilia Romagna. La legge regionale del 1988 che regola i canoni di concessione nella nostra regione non è aggiornata rispetto all’intervento, datato 2006 della Conferenza Stato-Regioni, che aveva l’obiettivo di mettere ordine nel settore con un documento di indirizzo che proponeva di uniformare i canoni su tutto il territorio nazionale, prevedendo l’obbligo di pagare sia in funzione degli ettari dati in concessione che per i volumi emunti o imbottigliati, indicando come cifre di riferimento almeno 30 euro per ettaro e un importo tra 1 e 2,5 euro per m3 imbottigliato.

L’Emilia Romagna è tra le regioni fanalino di coda all’interno del dossier, perché adotta un criterio di calcolo dei canoni di concessione basato esclusivamente sugli ettari dati in concessione, e non prevede un calcolo anche in base delle portate derivate.
Il problema dei canoni di concessione delle acque minerali e il tema della gestione delle risorse idriche ritornano fortemente attuali oggi in occasione della giornata mondiale dell’acqua per ribadire alcuni principi condivisi che andrebbero tenuti in conto per ogni attività relativa alla risorsa: l’acqua è risorsa limitata; l’acqua è un bene comune; chi inquina paga. Tre principi che dovrebbero guidare le Regioni nell’opera di revisione dei canoni di concessione, considerando l’altissimo valore della risorsa idrica, a maggior ragione quella di sorgente e di ottima qualità.

Crediamo che il tema della equa tassazione dell’utilizzo di risorse naturali -non solo i prelievi di acqua ma anche i canoni delle attività estrattive- non sia ulteriormente rinviabile.

E’ indispensabile mettere mano quando prima alle leggi regionali che regolano queste attività, aumentando gli oneri a favore delle casse pubbliche, secondo il principio di una maggiore tassazione dello sfruttamento delle risorse. Il ritorno derivante dai canoni di concessione dell’acqua minerale nella nostra regione è molto basso, nonostante i margini di guadagno delle aziende – dichiara Lorenzo Frattini, presidente di Legambiente Emilia Romagna – Se si applicasse un canone più elevato, come i 10 euro al metro cubo, si potrebbero destinare i maggiori introiti ad investimenti sul territorio riguardanti ad esempio la difesa idraulica e la riqualificazione fluviale.”

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