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Esiste un controllo pubblico su HERA ed IREN?

Ci sono oggi troppe ambiguità e poca trasparenza: serve aprire un vero dibattito.

Interveniamo sul dibattito scaturito in seguito alla decisione del sindaco di Bologna Virginio Merola di vendere parte della quota azionaria di HERA.
Da più parti, a cominciare dalle rappresentanze dei lavoratori, si è lamentato che tale scelta costituisca un arretramento del controllo pubblico su queste aziende.

Certamente l’evento costituisce l’attestazione che le azioni siano piuttosto un tesoretto da utilizzarsi per questa o quella necessità di bilancio che uno strumento di controllo delle aziende.
Tuttavia sottolineamo come anche l’attuale modello vada rivisto perché caratterizzato da una serie di ambiguità e problematiche che non aiutano né la trasparenza né l’interesse pubblico. Problematiche che si sono dimostrate plasticamente in alcune delle scelte prese dai vertici delle aziende in questi anni, frutto di strategie meramente finanziarie che nulla avevano a che vedere con il bene dei cittadini.
Lo si è visto alla luce delle possibilità introdotte dall’articolo 35 dello Sbloccaitalia, con cui sia IREN che HERA hanno richiesto – e ottenuto – di ampliare le potenzialità di loro impianti di incenerimento apparentemente senza consenso delle amministrazioni. Ultima la richiesta di aumento dell’inceneritore di Parma a 190.000 t/anno contro le 130.000 tonnellate dell’autorizzazione pubblica.
Lo si è visto nel 2014 con la partecipazione di HERA al progetto di costruzione di una centrale a carbone a Saline Joniche (RC), progetto poi decaduto per le incertezze economiche. Mentre in Emilia Romagna gli enti pubblici si opponevano alla confinante centrale a carbone di Porto Tolle sul Delta Veneto, HERA – la principale azienda a controllo pubblico della regione – supportava progetti similmente dannosi in altre regioni d’Italia.
Una chiara dimostrazione della mancanza di possibilità (e volontà) delle amministrazioni pubbliche di controllare le aziende e indirizzarle verso i reali bisogni e le aspettative della collettività.

Due i problemi fondamentali secondo noi: l’ambiguità dei Sindaci al tempo stesso controllori e azionisti e l’impossibilità di un controllo pubblico reale e organizzato.
Da una parte le multiutility vengono presentate come aziende “del territorio”, al quale si impongono secondo una logica, di fatto, monopolistica. Dall’altra, essendo quotate in borsa, devono risponde primariamente alle esigenze di creazione di profitto per gli azionisti. Questa contraddizione si riverbera nella figura dei Sindaci azionisti che dovrebbero essere soggetti controllori e regolatori (sia nel proprio comune che nei Consigli di ATERSIR, che disciplina i servizi pubblici di acqua e rifiuti), ma allo stesso tempo attingono alle risorse delle multiutility quotate sia coi dividendi azionari che grazie alle sponsorizzazioni. La contraddizione tra proprietario e regolatore è stata sollevata peraltro di recente anche da gruppi privati interessati alla recente gara sul servizio rifiuti tenutasi per il bacino di Parma.
Per quanto riguarda le quote di controllo pubblico poi, seppur queste siano formalmente sopra il 50%, di fatto una regia unitaria risulterebbe comunque difficilmente applicabile: la proprietà risulta frammentata in numerose Amministrazioni di aree geografiche e orientamento politico diverso che hanno esigenze e visioni profondamente differenti.
Riteniamo quindi urgente un vero dibattito sui modelli di governance di questi servizi, e prendere decisioni affinché il pubblico possa tornare ad esercitare ruoli di indirizzo e controllo veri e soprattutto indipendenti. Soluzioni ambigue che mischino controllori e controllati non sono utili.