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“C’è Puzza di Gas” in Emilia-Romagna 

“C’è Puzza di Gas” in Emilia-Romagna 

Ultima tappa per la campagna d’informazione e sensibilizzazione di Legambiente sui rischi legati alle dispersioni e agli sprechi di gas fossile  
Oggi flash mob davanti al deposito SNAM di Minerbio, punto strategico per l’intera filiera del gas 
Legambiente: “No all’idea di Governo e Regione di fare dell’Emilia-Romagna il principale hub europeo del gas fossile, mettendo in pericolo il clima e la salute delle persone,  come testimoniano i rilasci volontari e le perdite di metano monitorati da CATF in 8 siti” 

 

Ottava e ultima tappa in Emilia-Romagna per “C’è puzza di gas. Per il futuro del Pianeta non tapparti il naso”, la campagna di informazione e sensibilizzazione promossa da Legambiente e sviluppata con il supporto di Clean Air Task Force (CATF). Un viaggio iniziato lo scorso luglio e che ha  attraversato l’Italia (Sardegna, Abruzzo, Sicilia, Basilicata, Liguria, Veneto, Campania e infine Emilia-Romagna) coinvolgendo l’intera filiera del gas fossile, per affrontare il tema dei rischi legati alle perdite e agli sprechi del gas metano disperso direttamente in atmosfera, gas fossile con un effetto climalterante fino a 86 volte più potente di quello della CO2; e spingere l’Italia e l’intera Europa ad approvare norme e regolamenti ambiziosi, finalizzati a ridurre, fino ad azzerare tali emissioni. La tappa si è aperta con un convegno sulle perdite di gas, presso lo Spazio Cultura UNIPOL di Bologna, e si è conclusa questa mattina con un Flash mob davanti al deposito SNAM di Minerbio, punto strategico per l’intera filiera del gas. 

L’Emilia-Romagna è candidata dalla strategia del Governo ad essere uno dei principali hub del gas fossile non solo d’Italia, ma d’Europa: la centrale di compressione di Minerbio, infatti, potrebbe vedere un ampliamento della sua funzione con la realizzazione della Rete Adriatica di SNAM Massafra-Minerbio – un gasdotto che collegherebbe la Puglia e l’Emilia-Romagna per spostare il gas verso nord – in cui il tratto di gasdotto Sulmona-Minerbio gioca un ruolo centrale per un aumento della capacità della rete. È la seconda regione con i consumi più alti di gas fossile (con una media di 10 miliardi di metri cubi l’anno) dopo la Lombardia e la terza regione più energivora, utilizzando un settimo del gas fossile consumato in Italia. Solo con il gas fossile, nel 2021, sono stati prodotti circa 20 TWh di elettricità (76% del totale), che hanno contribuito ad emettere 7,4 milioni di tonnellate di CO2 del 2021.  

Questo radicamento del gas fossile porta con sé numerosi pericoli per il clima e per la salute delle persone, oltre che ingenti sprechi economici della risorsa. Come testimonia un’indagine condotta nel 2021 da Clean Air Task Force1 che ha monitorato 8 siti nella regione, fotografando decine di perdite e casi di venting2. Tra le situazioni più preoccupanti di rilasci volontari di metano, quella dell’impianto di stoccaggio di Minerbio, uno dei più grandi d’Italia: le immagini di CATF raccontano di un’imponente nuvola di metano rilasciata in atmosfera, a distanza di più giorni, tra le più grandi documentate. Preoccupano i tre progetti che lo riguardano presentati presso il MASE, tra ammodernamenti e ampliamenti della capacità di stoccaggio, che potrebbero aumentare in maniera considerevole le emissioni di metano all’interno del sito.  

“Una strategia del tutto sbagliata quella del Governo Meloni– ha dichiarato Adriano Della Bruna, Ufficio Energia di Legambiente –. L’aumento dei flussi di gas dall’Algeria e dalla Libia, l’eventuale raddoppio del TAP, il nuovo gasdotto da Israele, i nuovi rigassificatori e l’aumento della produzione nazionale descrivono un quadro che porterà l’Italia e l’Europa a fallire gli obiettivi di contenimento del cambiamento climatico e a diventare ancor più dipendenti dal gas fossile. Quella di trasformare l’Italia in un hub del gas è una strategia ancor più preoccupante se si pensa alle lacune normative rispetto al problema delle emissioni di metano nel settore. Un problema su cui l’Italia e l’UE dovrebbero intervenire in maniera decisa e ambiziosa e sul quale invece si rischia di cedere il fianco agli interessi dell’industria fossile, come dimostra il voto in Consiglio Europeo dello scorso dicembre sul nuovo Regolamento che presto verrà discusso anche dal Parlamento Europeo”. 

“L’Emilia-Romagna – ha aggiunto Davide Ferraresi, Presidente Legambiente Emilia-Romagna – si è dimostrata essere centrale per la strategia del Governo di trasformare l’Italia in un hub del gas europeo, ampliando i flussi di gas dal sud Italia. Ci opponiamo a quest’idea. Basta progetti che contribuiscono a vincolare il nostro Paese all’utilizzo di gas per decenni, servono piuttosto politiche per recuperare il gas sprecato senza dover cercare nuovi giacimenti o aumentare la produzione di quelli già in funzione, e per vietare pratiche di venting e flaring”. 

Mix energetico e fossile in Emilia-Romagna. Rispetto ai consumi di elettricità, il comparto termoelettrico alimentato a fonti fossili è nella Regione il principale protagonista, coprendo nel 2021 l’87,6% della produzione totale, con 24,2 TWh generati su 27,6 TWh totali. Nel 2020, i prodotti petroliferi e gas fossile hanno costituito il 66,6% dei consumi finali lordi di energia, ai quali sono da aggiungere quelli utilizzati per la produzione di elettricità. Trend che risultano in crescita, soprattutto rispetto ai consumi di gas, e che sono in linea con i massicci investimenti e progetti presentati presso il MASE per realizzare nuove infrastrutture e potenziare quelle già esistenti. Si pensi per esempio al caso del rigassificatore di Ravenna che sta godendo di procedure accelerate di Valutazione d’Impatto Ambientale e che potrebbe entrare in funzione nel 2024. La Regione ospita tutte le infrastrutture che compongono la filiera del gas. È tra le regioni con i più alti livelli di produzione di idrocarburi in Italia, tanto che la superficie occupata da attività connesse alla produzione, ricerca e coltivazione di idrocarburi è superiore all’estensione del Molise. Nel territorio ospita 774 pozzi (tra stoccaggio e produzione di idrocarburi) distribuiti su 55 concessioni di coltivazione su terra e mare, 11 permessi di ricerca, e 5 concessioni di stoccaggio. E si prospetta un incremento dal momento che il Governo ha riaperto la possibilità che vengano aumentate le attività estrattive su mare, riducendo da 12 a 9 miglia nautiche dalla costa il limite della superficie idonea all’estrazione di idrocarburi3. Di fianco a centinaia di infrastrutture legate alla produzione di idrocarburi, si dirama una rete per il trasporto di gas fossile, interno e di smistamento verso il nord e sud Italia: una fitta rete di gasdotti che ospita due centrali di compressione a Poggio Renatico e Minerbio, a cui si aggiungerà probabilmente l’impianto di rigassificazione di Ravenna che sta godendo di procedure autorizzative accelerate saltando la Valutazione d’Impatto Ambientale4. Infine, secondo Terna, nel 2021 in Emilia-Romagna, su un totale di 9,5 GW di potenza installata, ben 6,5 GW sono di Termoelettrico alimentato a fonti fossili. Un dato destinato ad aumentare considerando che, dal 2020 ad oggi, sono già stati approvati nuovi 1056 MW di potenza elettrica alimentata a gas fossile, ai quali si potrebbero aggiungere i 790,3 MW in attesa di approvazione, per un totale di 1846,3 MW di nuova potenza installata a gas.  

Rischio emissioni di metano e Regolamento UE. Le emissioni di metano raccontate da Legambiente e CATF si inseriscono in un contesto dove a pesare è l’assenza di normative che obbligano le imprese a eseguire monitoraggi e riparare tempestivamente tali perdite. Presso il Parlamento Europeo è in discussione una bozza di Regolamento per affrontare il problema, tuttavia, il testo proposto dalla Commissione, non solo è poco ambizioso ma è anche condizionato dalle pressioni delle compagnie petrolifere e del gas. A peggiorare la situazione è la posizione assunta del Consiglio europeo, al quale Legambiente, assieme ad altre 10 realtà a livello europeo, ha lanciato un appello lo scorso dicembre. Tra i vari problemi, la riduzione delle attività di rilevamento perdite da trimestrale a semestrale, che inficerebbe l’efficacia del monitoraggio dall’80% al 67%; numeri ben al di sotto della proposta dal cigno verde di condurre rilevamenti mensilmente, portando a una riduzione delle emissioni del 90%. E la mancata introduzione di standard stringenti per la riduzione delle emissioni di metano lungo le infrastrutture di importazione. In vista del voto sul regolamento nelle commissioni ENVI e ITRE del Parlamento Europeo, l’auspicio di Legambiente è che prevalgano considerazioni vocate alla sostenibilità, sopra le pressioni delle grandi compagnie petrolifere e del gas. 

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