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L’era del biometano: verso l’obiettivo di decarbonizzazione al 2050

La produzione di biometano nel solo nel settore agricolo potrebbe coprire il 12% dei consumi attuali di gas in Italia.

Per chiudere il ciclo dei rifiuti è necessaria la realizzazione di nuovi impianti di digestione anaerobica per la produzione di biometano da trattamento della frazione organica, a partire dal centro sud Italia.

“Per favorire lo sviluppo di un sistema integrato e “fatto bene”, sostenendo l’impegno di istituzioni e imprese è fondamentale coinvolgere i cittadini, con una partecipazione alla progettazione e informazione corretta e trasparente”.

In Italia il gas ricopre un ruolo rilevante con il 34,6% di contributo al consumo interno lordo: 70.914 milioni di metri cubi distribuiti principalmente tra il settore residenziale (con il 40,7% dei consumi), industriale (20,4%) e quello dei trasporti (1,5%). Eppure la produzione di biometano – un biocombustibile che si ottiene sia dagli scarti di biomasse di origine agricola, sia dalla frazione organica dei rifiuti solidi urbani derivante dalla raccolta differenziata – nel solo settore agricolo potrebbe coprire il 12% dei consumi attuali di gas in Italia con evidenti vantaggi ambientali e economici.
Il biometano è un anello fondamentale per il corretto trattamento dei rifiuti biodegradabili nell’ambito del nuovo scenario dell’economia circolare a livello nazionale, a partire dalle regioni del centro sud, ed europeo. Può avere, inoltre, un ruolo fondamentale nella strategia energetica del nostro Paese, per ridurre l’inquinamento atmosferico e nella lotta ai cambiamenti climatici. Secondo il Comitato Termotecnico Italiano il biometano è in grado, infatti, di evitare l’immissione di gas serra di almeno il 75% rispetto a quelle dei combustibili fossili, un contributo fondamentale all’obiettivo di contenimento del surriscaldamento del pianeta entro 1,5 gradi centigradi come recentemente auspicato dal Comitato intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC). L’intero processo, oltre alla produzione di energia verde, permette inoltre di avere come risultato finale un ammendante utile a ridare fertilità ai suoli impoveriti dall’agricoltura intensiva. Senza dimenticare che il biometano “fatto bene” è una grande opportunità economica per i territori, anche in relazione alla creazione di nuovi posti di lavoro.

Sono tutti temi di cui si è discusso oggi nel corso della seconda conferenza nazionale L’era del biometano, promossa da Legambiente a Bologna, per raccontare non solo lo stato dell’arte in Italia, ma anche per rendere sempre più concrete le opportunità per aziende e territori, partendo proprio da quelle esperienze imprenditoriali già attive e di successo. Anche perché il 2018 è stato l’anno di approvazione del tanto atteso decreto per la promozione dell’uso del biometano nel settore dei trasporti. Una misura che, insieme alla definitiva approvazione del nuovo pacchetto di direttive europee sull’economia circolare, che pone tra gli altri l’obbligo della raccolta separata dell’organico a livello europeo, deve accelerare la transizione verso un modello di consumo più sostenibile. Con lo stesso decreto si aprono nuovi e importanti scenari, a partire dai 4,7 miliardi di euro messi in bilancio dallo Stato fino al 2022 per i nuovi impianti per la produzione di biometano e biocarburi da rifiuti. Un incentivo che mira a sostenere i maggiori costi nella produzione di biocarburanti, rendendoli così competitivi con quelli dei combustibili fossili nel settore dei trasporti.

«Il biometano non solo si presta ad essere e a diventare un fonte energetica sempre più strategica nel settore dei trasporti e dei consumi domestici, ma siamo convinti giocherà un ruolo fondamentale nella transizione energetica, offrendo importanti occasioni di rilancio per le imprese, soprattutto agricole, oltre che uno strumento fondamentale per la lotta ai cambiamenti climatici e nella gestione dei rifiuti – dichiara Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente –. In particolare su quest’ultimo punto non possiamo più aspettare. Occorre partire con la realizzazione di nuovi impianti di digestione anaerobica per la produzione di biometano per il trattamento della frazione organica, a partire dalle regioni del centro sud Italia che oggi ne sono carenti, nonostante l’umido rappresenta il 30-40% del totale dei rifiuti prodotti, e affiancare con questa tecnologia anche gli impianti di compostaggio aerobici esistenti, per ottimizzare il processo. Per questo è necessario da subito individuare necessità e creare sinergie per favorire lo sviluppo di un sistema integrato e soprattutto “fatto bene”, sostenendo l’impegno di istituzioni e imprese e coinvolgendo i cittadini sulla strategicità, i vantaggi ambientali ed economici e garantendone la partecipazione con strumenti che integrino il normale iter autorizzativo, fornendo un’informazione corretta e trasparente».

Al di là di superare le carenze normative ancora presenti nel nostro paese (prime fra tutte quelle sulla distinzione tra “sottoprodotto” e “rifiuto” e i limiti all’utilizzo agronomico del digestato previsti dal Decreto Mipaaf 5046), è oggi infatti necessario accompagnare la necessaria realizzazione di nuovi impianti con processi partecipativi e di coinvolgimento della cittadinanza, sulla base di esperienze già in essere nel nostro Paese, con l’obiettivo di dare ai territori garanzie di impianti ben fatti e trasparenza nei processi. A tal proposito utile ricordare che, secondo l’Osservatorio Media Permanente Nimby Forum, nel 2016, sono state 359 le attività di opposizione contro opere di utilità pubblica o contro progetti di nuovi impianti, con un aumento del 5% dei contenziosi rispetto all’anno precedente. Di questi il 56,7% ha riguardato il settore energetico (75,4% fonti rinnovabili) e il 37,4% quello dei rifiuti.
I ritardi nella normativa hanno, inoltre, aperto a interpretazioni controverse, a procedure burocratico-amministrative di autorizzazione diverse da Regione a Regione e prodotto scarsa conoscenza della materia da parte di molte amministrazioni e amministratori, il tutto a ritardare la nascita di biometano “fatto bene”. Conoscenze, informazione, trasparenza, dialogo, negoziazione e partecipazione alla base dello sviluppo degli impianti nei territori.

La conferenza nazionale promossa da Legambiente è stata un’occasione per valorizzare il ruolo del biometano nella copertura dei fabbisogni energetici del paese a partire dal suo ruolo nei trasporti urbani e pesante, ma anche nella gestione sostenibile delle frazioni biodegradabili (organico da raccolta differenziata, scarti agricoli, rifiuti agroindustriali, fanghi di depurazione, etc), per confrontarsi con i decisori istituzionali e gli stakeholders del settore della produzione e della distribuzione, affrontando criticità, normative e tecniche della filiera.

I numeri sul biometano

Secondo l’European Biogas Association in Europa già oggi vengono prodotti 1,23 miliardi di mc annui, grazie ad oltre 17mila impianti a biogas per 8.728 MWe complessivi. Con un potenziale, secondo il Consorzio Gas for Climate, di oltre 120 miliardi di mc all’anno entro il 2050 in grado di generare risparmi di 140 miliardi di euro nello stesso periodo, rispetto ad un’alternativa tutto elettrico. In Italia, a fine 2017, si contavano 1.920 impianti operativi, di cui 1.460 nel settore agricolo e 460 nel settore rifiuti e fanghi di depurazione, per una potenza complessiva di 1.400 MWe, di cui poco meno di 1.000 nel comparto agricolo. Una potenza che colloca l’Italia al quarto posto a livello mondiale dopo Germania, Cina e Stati Uniti. Impianti quelli del biogas che, è bene ricordarlo, in passato non sempre hanno avuto un corretto inserimento ambientale e sociale. Le nuove opportunità offerte dal biometano devono tenere conto proprio di questo, attuando uno sforzo in più rispetto a quanto fatto finora. La vera sfida sta nel sfruttare le infrastrutture esistenti per la distribuzione del biometano, con la possibilità di utilizzarlo facilmente e subito nella copertura dei fabbisogni domestici e per il trasporti, piuttosto che per la produzione di energia elettrica in loco e la combustione del gas.

Alcuni esempi possono chiarire meglio il contributo di alcuni settori nella produzione di biometano, come quello legato al ciclo dei rifiuti. Oggi, stando ai dati relativi al 2016 riportati nell’ultimo rapporto CIC 2018, l’organico rappresenta il 41% di tutti i rifiuti raccolti attraverso la differenziata in Italia e la frazione umida è in costante aumento, con un +10% all’anno negli ultimi 10 anni, fino ad arrivare oggi a coprire 35 milioni di cittadini con circa 6,5 milioni/tonnellate all’anno raccolte in maniera differenziata (tra “umido” e “verde”). A fronte di tutto questo gli impianti di digestione anaerobica presenti in Italia trattano oggi circa 2 milioni di tonnellate di rifiuti organici e sono localizzati quasi esclusivamente nel nord Italia. Risulta evidente quindi la necessità impiantistica delle regioni del centro sud, dove la frazione organica dei rifiuti arriva a costituire anche il 30-40% dei rifiuti urbani prodotti. Grazie a tutta la frazione organica del rifiuto solido urbano, secondo le stime di Enea, in Italia sono producibili, al 2030, da 430 milioni a 860 di metri cubi di biometano. Ovvero dallo 0,6% all’1,1% dell’attuale consumo di gas.
Per quanto riguarda il settore agricolo, invece, le stime del Consorzio Italiano Biogas e Crpa, parlano di un potenziale al 2030 di 8,5 miliardi di metri cubi di biometano (considerando la disponibilità ad esempio di biomasse di scarto di origine agricola e zootecnica o biomasse vegetali e sottoprodotti,): in pratica il 12% del consumo di attuale di gas in Italia.

Ricordiamo infine che la produzione del biometano può e deve avvenire nel rispetto della biodiversità e della funzione di stoccaggio del carbonio svolta da foreste e dai terreni coltivati e che il suo consumo avviene quasi senza ulteriori emissioni climalteranti. Chimicamente uguale al metano fossile (o gas naturale) è utilizzabile in miscela o in sostituzione del gas e può quindi essere distribuito nei metanodotti e in città. Numeri non da poco se si considera che al 2030 il 27% del consumo finale lordo di energia dovrà essere prodotto da fonti rinnovabili; al contempo, le emissioni di CO2 dovranno ridursi del 40% entro il medesimo orizzonte temporale e dell’80% entro il 2050 rispetto ai valori registrati nel 1990. Lo stesso vale per il settore trasporti che entro il 2020 dovrà coprire il 10% del fabbisogno energetico attraverso fonti rinnovabili.

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